Il mattino seguente Aveline si svegliò con la luce del sole che irrompeva dalla finestra. Si stiracchiò e si mise seduta sul letto. Il suo primo pensiero fu lo stesso che aveva avuto prima di addormentarsi: Connor. “Che devo fare? Dovrei parlargli per fargli capire che non sono disponibile? Però se tutti questi fossero solo castelli miei, ci farei di sicuro la figura dell’idiota. Meglio lasciar perdere e vedere come si evolve la cosa”. Con questi pensieri per la testa scese dal letto e andò a vestirsi. Andò al piano di sotto e si rese conto che aveva dormito più degli altri. Trovò Maria in sala da pranzo a spolverare i mobili: <<Buongiorno Maria>>
<<Buongiorno cara. Dormito bene?>>
<<Si, molto. Grazie>>
<<Vuoi che ti prepari qualcosa? Immagino tu abbia fame>>
<<No, ti ringrazio, sono apposto così. Gli altri?>>
<<Probabilmente sono nello scantinato. L’entrata è proprio dietro alle scale>>
Aveline girò attorno alle scale e notò un passaggio nella parete che prima non aveva visto. <<Oh, un passaggio segreto quindi?>>
<<Proprio così>>
Aveline si avviò verso lo scantinato, scese le scale e si ritrovò in una stanza umida e più fredda. Sentì il rumore che facevano allenandosi e i consigli che Connor dava a Patience. Arrivata in fondo ai gradini vide una fila di manichini creati con pali di legno e cuscini per definirne la forma. Su ogni manichino si trovava un abito militare diverso, tranne sugli ultimi due, su cui c’erano una maglietta bianca e dei pantaloni grigio scuro e degli abiti tipici dei nativi americani. Notò anche un abito da capitano e l’abito da Assassino di Connor. Al centro della stanza c’era una specie di spaventapasseri, di quelli da allenamento, sul quale si stava esercitando patience con un bastone: <<Stai più bassa e distanzia di più i piedi. Cerca di non tenere i fianchi scoperti>> Connor dava istruzioni a Patience sul combattimento corpo a corpo con armi da mischia. Aveva un modo di fare molto autoritario, ma allo stesso tempo comprensivo. <<Buono. Per oggi basta così. Nel pomeriggio ci dedicheremo alla tua istruzione >>. Connor stava ancora parlando con Patience quando Maria dal piano di sopra, li chiamò per pranzo. Salirono quindi tutti quanti di sopra per andare a mangiare.
Dopo pranzo Patience e Connor si congedarono per continuare con l’addestramento, Aveline invece tornò in camera, dove si sedette sul letto a fissare il vuoto, pensando che non ce la faceva proprio a stare ferma lì a non fare niente. Decise quindi che sarebbe andata a fare due passi.
Uscita di casa si guardò attorno e decise di andare verso il molo, dove aveva visto ormeggiata una grossa nave.
Si incamminò quindi verso il mare facendo attenzione a non lasciare mai il sentiero, poiché non era né equipaggiata né in grado di far fronte ad imprevisti.
Camminò qualche minuto lungo il sentiero che costeggiava la scogliera. Scendendo giù fino al mare vide un paio di edifici in legno molto essenziali, e ormeggiata all’unico molo presente c’era quella nave che aveva visto dall’alto della scogliera. Su di essa vide alcuni uomini indaffarati, ed altri due sul molo. Uno di essi aveva l’aspetto di un ufficiale: dalla lunga giacca di pelle decorata che portava, Aveline ebbe l’impressione che non si trattasse di un semplice marinaio. Decise quindi che si sarebbe rivolta a lui. Quando gli fu vicina si presentò dicendo: <<Salve, sono Aveline De Grandpré e sono ospite alla tenuta di Davenport. Volevo sapere chi fosse il capitano della nave, e se fosse possibile portarmi a New Orleans, così da evitarmi di doverci andare a piedi>>
<<Salve a voi, io sono Robert Faulkner. Questa che avete davanti a voi è l’Aquila. Io non ne sono più il capitano da qualche anno. Vi posso dire che anche se vi faciliterebbe molto il viaggio, si tratta sempre di una buona settimana di navigazione. Bisogna quindi preparare la nave e l’equipaggio, ma io non posso fare niente senza l’ordine del Capitano>>
<<Se mi dite chi è, andrò a parlargli>>
<<Mia signora siete ospite in casa sua: il capitano dell’Aquila è Connor>>
<<Oh! Allora andrò a parlare con lui. Grazie di tutto e buona giornata>> Rispose stupita Aveline; questo le fece realizzare quanto poco sapesse di lui.
<<Buona giornata a voi >> le rispose Robert abbozzando un inchino.
Aveline si incamminò nuovamente verso la tenuta, nel tragitto ripensò a Connor, a cosa conosceva di lui el al tipo di uomo che potesse essere per prendersi in carico la responsabilità di riformare la Confraternita del ramo coloniale, di occuparsi dell’addestramento di nuove reclute oltre che di una nave e di tutto il suo equipaggio.
Probabilmente tutto questo carico di lavoro e stress lo aveva portato ad essere l’uomo serio e chiuso che ha conosciuto. Non potè fare a meno di pensare quanto fosse diverso da Gérald, che per quanto le fosse indispensabile per lei, sia per le informazioni che le recuperava che per il suo ruolo nell’attività del padre, non possedeva le capacità di Connor.
Ritornò alla tenuta verso l’ora di cena: si sentiva rilassata e anche se la ferita le faceva male, uscire e andare in giro le aveva fatto meglio che stare chiusa in camera tutto il giorno. Arrivata in casa chiuse la porta e andò a vedere se Connor e Patience erano ancora ad allenarsi nel seminterrato: attraversando il corridoio sentì le loro voci provenire dalla stanza alla sua sinistra, stavano parlando di filosofia. Si affacciò sulla soglia e Patience si accorse della sua presenza, e interruppe immediatamente quello che stava facendo: <<Aveline! Ma dove diavolo sei stata?! Sei sparita per ore!>> Disse quasi urlando e alzandosi in piedi smanaccando.
<<Calmati, Patience>> La intimò Connor <<Aveline credevo fossimo d’accordo che saresti rimasta a riposo>> Anche Connor si alzò in piedi per parlarle.
<<Ragazzi state calmi, sono solo scesa al molo per fare due passi. Tutto qui>>
<<Si ma avresti potuto farti male, o addirittura sentirti male, visto che non sei ancora in forze>> Rispose Connor con espressione di rimprovero.
<<So quello che faccio. So di essere debole, infatti non mi sono allontanata troppo. Ci ho messo tanto perchè ho seguito il sentiero e sono andata piano piano>> Cercò di giustificarsi Aveline.
<<Aveline, ti prego, non metterti nei pasticci. Ricordi cosa ha detto il dottore?>> Intervenne Patience con aria di supplica <<Se la ferita dovesse riaprirsi potresti anche rischiare di morire!>>
<<Si, lo so. Ma non ce la facevo più a stare chiusa nella stanza tutto il giorno. Mi sento in gabbia>>
<<Scusa perché non resti con noi durante il suo addestramento? Se non hai bisogno di dormire e non ti va di stare in camera puoi venire con noi>> Propose Connor, nel tentativo di farla ragionare.
<<Ok. Mi sentirò sicuramente più utile… Perdonatemi, so di aver sbagliato, ma è più forte di me. Non ce la faccio a stare per troppo tempo ferma>>
Patience sorrise e poi le dette una pacca sulla spalla <<Non farlo mai più>> Concluse uscendo dalla stanza.
<<Mi spiace di avervi fatto preoccupare>> Continuò a scusarsi Aveline entrando.
Patience era andata a farsi un bagno prima di cena, mentre Connor era rimasto in salotto con lei per finire il discorso.
<<Lo so che sei dispiaciuta e capisco il tuo non riuscire a stare ferma. Anche io sono come te. Ma per esperienza ti garantisco che l’unico modo per guarire più in fretta da ferite simili è restare a riposo il più possibile>>
<<Ho capito. Cercherò di darmi una regolata, promesso. Sono andata al molo a parlare con Faulkner: non sapevo fossi anche capitano di una nave>> Disse sorridendo maliziosa.
<<Si, sono capitano dell’Aquila, così si chiama la nave che hai visto>> Connor era appoggiato allo schienale della poltrona con le braccia conserte, mentre Aveline era in piedi davanti a lui. <<Che sei andata a fare fino al molo?>>
<<A cercare un passaggio. Non sarebbe male poter tornare in nave piuttosto che a piedi. Faulkner ha detto che ci vorrebbe più o meno una settimana di navigazione. A piedi impiegherei quasi un mese…>>
Connor la fissava negli occhi sempre con la stessa espressione impassibile e dura
<<Non so se sia fattibile. Per affrontare una traversata di due settimane ho bisogno di uomini, risorse materiali e provviste…>>
Aveline era ammaliata da quel modo di fare così autoritario; Connor le infondeva una sensazione di sicurezza e protezione: era più alto di lei di diversi centimetri, e le sue spalle, così larghe, sembravano fatte apposta per abbracciare fino togliere il respiro. Le sue braccia e i suoi muscoli così grossi trasmettevano forza. Si rese conto che le piaceva tutto di lui, persino i capelli lunghi che finivano poco prima delle spalle, raccolti in una mezza coda…